Josef K. e Mister Pinter

Josef K. e Mister Pinter

“Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., poiché un mattino, senza che avesse fatto nulla di male, egli fu arrestato”.

Gli amanti di Franz Kafka, ma non solo, avranno riconosciuto in queste poche parole l’incipit di uno dei romanzi più suggestivi ed enigmatici della letteratura del Novecento: “Il processo”.

Scritto tra il 1914 e il 1917 e uscito postumo nel 1925, il libro è un claustrofobico incubo giudiziario che narra le surreali vicende di un impiegato di banca processato (e poi condannato) da un misterioso tribunale per un’accusa mai esplicitata ma ineluttabile.

E pensando all’opera di Kafka la mente non può che andare ad Harold Pinter che, ancora adolescente, lesse l’opera del grande scrittore rimanendone affascinato: “penetrò nel mio subconscio ed ebbe un’influenza innegabile” come lui stesso ebbe a dire in un’intervista rilasciata ad una giornalista della BBC a Praga, durante le riprese de “Il Processo” di cui curò la sceneggiatura.

Il film – diretto da David Jones e interpretato da  Klye MacLachlan, Juliet Stevenson e da Anthony Hopkins – uscì sul grande schermo nel 1993.

Non era la prima volta che il romanzo del famoso autore praghese diventava un film.

Trent’anni prima, nel 1962, Orson Welles mise in segna gli incubi kafkiani in una pellicola che vide protagonista – oltre a Elsa Martinelli, Jeanne Moreau, e Romy Schneider – un perfetto Anthony Perkins nei panni di Josef K. e lo stesso regista nella parte dell’avvocato Hastler.

Seppur lo stesso Welles definì questo film il migliore della sua carriera – più ancora di Quarto potere – non tutta la critica fu concorde con lui.

E se Francois Truffaut scrisse che era una delle pellicole meno riuscite del regista statunitense, Pinter ebbe a dire che, pur ritenendo Orson Welles un genio, il suo film era completamente sbagliato perché trasformato in “un incubo incongruo fatto di battute e immagini ad effetto, sconnesse e malamente adattate”.

Al contrario, per Pinter, l’incubo dell’universo kafkiano sta tutto nella sua normalità. E’ quello che spaventa e che al tempo stesso è la sua forza: “Kafka non procede per effetti, per colpi di scena, ma al contrario parla di qualcosa che succede il lunedì, poi il martedì, poi il mercoledì e poi tutta la settimana. Il protagonista è oppresso da una forza tanto implacabile quanto invisibile, e alla fine sarà giustiziato. Ma l’importante è che lui lotta con tutte le sue forza, sempre…”

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