L’inferno sono gli altri

L’inferno sono gli altri

Nell’autunno del 1943,  Jean Paul Sartre scrive in soli quindici giorni una delle sue pieces teatrali maggior successo: “Huis clos”. 

“A porte chiuse”, questo il titolo in italiano, fu rappresentato per la prima volta al Vieux-Colombier di Parigi per poi approdare in America dove, nel 1947, ricevette il premio per la migliore opera straniera.

Quando si scrive una pièce, vi sono sempre cause occasionali e problematiche più profonde”, amava ripetere Sartre.

E anche questo dramma nasce per caso, come lo stesso scrittore francese raccontava. Voleva scrivere una piece per tre amici attori e voleva che nessuno avesse più spazio dell’altro. Voleva che tutti e tre restassero sempre in scena. E così gli venne l’idea di “metterli all’inferno” e di fare in modo che ciascuno fosse il carnefice dell’altro. Ne uscì un dramma che riassume la filosofia esistenzialista di Sartre e che affronta il complesso mondo delle relazioni umane e la difficoltà ad instaurare una comunicazione sincera ed autentica.

E nell’opera di Sartre l’inferno è una stanza, senza finestre e specchi, arredata in stile “secondo impero” in cui i defunti Garcin, Estelle e Inès sono destinati a convivere per l’eternità. I tre personaggi pensano di essere lì per essere puniti da qualcuno per le loro malefatte terrene. Ben presto, però, si rendono conto che sono lì per torturarsi a vicenda.

E si tormentano con domande e commenti sulla loro vita precedente, sui delitti commessi, sulle loro miserie, sui desideri e sulle passioni. Non lasceranno mai quella stanza, non attraverseranno mai quella porta lasciata aperta. Non ne sono capaci, imprigionati per sempre in abitudini e comportamenti che disprezzano ma che non cercano nemmeno di provare a cambiare.

Il capolavoro di Sartre è stato oggetto di molte trasposizioni cinematografiche e televisive.

La più riuscita è senza alcun dubbio “In Camera” prodotta e trasmessa dalla BBC nel 1964, diretta da Philip Saville e magistralmente interpretata da Harold Pinter. Una rivisitazione fedele al testo dell’autore che introduce elementi contemporanei – si svolge in quella che appare una galleria d’arte moderna – e giochi di inquadrature claustrofobiche. Nei monologhi, gli attori hanno lo sguardo fisso verso la camera, come se si rivolgessero allo spettatore che diventa partecipe di quell’inferno.

“L’inferno sono gli altri”… Un concetto che spesso è stato frainteso e che Sartre spiegava così: “Si è pensato che volessi con questo dire che le nostre relazioni con gli altri sono sempre avvelenate, che si tratta sempre di rapporti infernali. In realtà, quello che voglio dire è un’altra cosa.. Voglio dire che, se i nostri rapporti con gli altri sono intricati, viziati, allora l’altro non può che essere l’inferno. Perché? Perché … quando noi ci pensiamo, quando cerchiamo di conoscerci… noi utilizziamo quelle conoscenze che gli altri hanno già di noi. Noi ci giudichiamo con i mezzi che gli altri hanno, ci hanno. dato per giudicarci. Qualsiasi cosa io dica su di me, c’è sempre dentro il giudizio degli altri… Ma questo non vuol dire assolutamente che non si possano avere rapporti differenti con gli altri. Sottolinea semplicemente l’importanza capitale di tutti gli altri per ognuno di noi”.

 

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