E’ scomparso pochi giorni fa Bruno Ganz, uno dei volti più noti del cinema tedesco apprezzato dalla critica e amato dal grande pubblico.
Nato a Zurigo nel 1941 da padre svizzero e madre italiana, poco più che ventenne si trasferisce in Germania dove inizia la sua carriera teatrale a fianco di importanti registi quali Peter Zadek, Luc Bondy, Dieter Dorn, Peter Stein… Ed è proprio insieme a quest’ultimo – e all’attrice Edith Clever – che Ganz fonda nel 1970 la famosa compagnia berlinese di ispirazione brechtiana “Schaubuhne am Halleschen Ufer”.
Dalla metà degli Anni ’70 passa al grande schermo per lavorare con i grandi maestri del cinema internazionale. Nel 1976 l’attrice Jeanne Moreau, passata alla regia, lo inserisce nel cast di “Lumiére” e, nello stesso anno, il grandissimo Eric Rohmer gli affida il ruolo del Conte in “La Marchesa Von…”. Nel 1977 interpreta la parte un corniciaio di Amburgo nella pellicola di Wim Wenders “L’ Amico americano” e nel 1978 quella di un agente immobiliare nella rivisitazione di “Nosferatu” di Werner Herzog.
Per Ganz, il grande successo arriva nel 1987 con l’indimenticabile interpretazione dell’angelo Damiel nel capolavoro di Wim Wenders “Il Cielo sopra Berlino”.
Nel 2000 la sua partecipazione a “Pane e tulipani” di Silvio Soldini gli vale il David di Donatello 2000 come miglior attore protagonista. Nel 2004 interpreta Adolf Hitler nel film “La caduta”, diretto da Oliver Hirschbiegel, e nel 2010 è Tiziano Terzani ne “La fine è il mio inizio”, diretto da Jo Baier e tratto dall’omonimo libro postumo del giornalista e scrittore fiorentino. L’11 agosto 2011 Ganz riceve il Pardo alla carriera al Festival del cinema di Locarno.
Nonostante i successi cinematografici, Ganz ha sempre continuato a calcare i palcoscenici dei teatri, interpretando spesso opere di Bertold Brecht ma cimentandosi anche con Harold Pinter.
Nel 2012, diretto dal compianto Luc Bondy – allora direttore artistico del teatro parigino Odéon – interpreta il padre dispotico nel dramma familiare “Il ritorno a casa”, l’opera che il premio Nobel britannico scrisse nel 1964.