“Una sera mi trovavo ad una festa. Mi avvicino a due giovani signore turche che stavano chiacchierando tra di loro: ‘Cosa ne dite delle torture che avvengono nel vostro paese?’ Mi guardarono sbalordite: ‘torture? Quali torture?’ ‘Ma come? Non sapete che ogni giorno vengono torturati decine e decine di uomini nel vostro paese?’ ‘Ma no, vi sbagliate, solo i comunisti vengono torturati”
“Invece di strangolare le due signore me ne tornai a casa e cominciai a scrivere Party Time”
Con queste parole, oggi di un’attualità disarmante, Harold Pinter sintetizza la genesi di “Party Time”, la piece scritta nel 1991 e rappresentata per la prima volta lo stesso anno all’Almeida Theatre di Londra.
Pinter conosceva molto bene la situazione turca: nel 1985 si era recato in quel Paese insieme al celebre regista Arthur Miller. Lì, in un discorso all’ambasciata americana, denunciò l’oppressione di Ankara nei confronti dell’opposizione curda e urlò il suo sconcerto per le torture che aveva visto perpetrare nei confronti di quel popolo.
La denuncia gli valse l’espulsione dalla Turchia.
Tuttavia, “Party Time” non fa esplicito riferimento alla posizione dell’allora governo turco ma ha un significato e una valenza universale e riguarda non esclusivamente la violazioni dei diritti umani ma, in genere, la gestione del potere politico da parte delle classi dirigenti, disposte a tutto pur di mantenere i loro privilegi.
La piece si svolge nel corso di una serata, un party di un uomo di potere dove gli ospiti – una varia umanità che ipocritamente nasconde invidie e antipatie per un’irrefrenabile sete di arrivismo – chiacchierano amabilmente di club esclusivi, vacanze su isole deserte, ristoranti costosi.
Un mondo sociale esclusivo, con un’intolleranza elevata verso chiunque non si conformi a questa società o non soddisfi le loro richieste.
Tra un bicchiere e l’altro irrompe la realtà del mondo esterno, quella rimasta fuori dalla superficialità della festa, quella delle strade dove – come si deduce da alcune battute – sembra essere in corso una feroce repressione i cui ispiratori sono tra gli ospiti della serata.
Due luoghi differenti, due mondi contrastanti che Pinter ritrae impietosamente evidenziando il rapporto tra mondanità e potere in una società che appare libera e tollerante dal punto di vista dei costumi e repressiva in fatto di libertà di pensiero e di espressione.
Poche le voci fuori dal coro a quel party.
E Il dissenso viene ridotto al silenzio. Perché l’importante è non porsi domande: “Non devi pensare a niente. Devi solo chiudere il becco e farti gli affari tuoi, quante volte devo dirtelo? Vieni qui a una festa cosi bella, non devi far altro che chiudere il becco, goderti l’ospitalità e farti i fattacci tuoi”
La festa è finita, gli amici se ne vanno, il padrone di casa ringrazia: “Detto tra noi, stasera abbiamo fatto una specie di rastrellamento. Questa operazione è giunta al termine. Difatti i servizi normali saranno ristabiliti nel giro di pochissimo tempo. Questo è il nostro scopo principale. Servizi normali. Noi, infatti, insistiamo su questo punto. Insisteremo su questo punto. Stiamo insistendo, ora. E tutto ciò che domandiamo è che il servizio in questo Paese scorra normalmente, che sia assicurato, in maniera lecita. E che il cittadino comune abbia la possibilità di muoversi tranquillamente sia per il suo lavoro che durante il tempo libero. Vi ringrazio molto per essere venuti qui stasera. È stato veramente bello vedervi, straordinario”.
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