Harold non ti tradisce mai. Ed è per questo che, come attrice, gli sono grata e ho per lui un profondo rispetto.
Quando sei alle prime prove con un testo, con gli oggetti e i movimenti di scena – indicati solo in casi estremi da Pinter – barcolli nel buio a lungo. Poi, se ti affidi alla sua scrittura, se impari a conoscere le sue categorie mentali e la sua poesia, riesci sempre a trovare la vita, le motivazioni interiori, il passato, i pensieri, i desideri, le frustrazioni del personaggio.
Nel 1971, in uno speech tenuto ad Amburgo, Pinter disse: “qualche volta il regista mi chiede durante le prove: ‘perché lei dice questo’. E io rispondo: ‘aspetta un minuto, fammi guardare il testo’. Guardo il testo e suggerisco: ‘non dice questo perché lui ha detto quello, due pagine prima?’ Oppure: ‘perché lei sente qualcosa di diverso, per cui dice quello’. O: ‘non ne ho la più pallida idea. Ma in qualche modo dobbiamo capirlo’. Qualche volta imparo molto dalle prove degli attori…”
Penso che queste poche parole di Pinter siano fondamentali per capire come affrontare un suo testo. E così è stato anche per noi, per me, quando abbiamo messo in scena “Old Times”: leggere e provare il testo, fino a quando hai il bisogno urgente di quelle parole, fino a quando hai lasciato scorrere nelle pause, nei silenzi, la vita interiore, i conflitti, le paure, le repressioni del tuo personaggio e le parole ti escono da sole, quelle, uniche, con le stesse pause, gli stessi punti.
Perché la punteggiatura nei dialoghi di Pinter è una partitura musicale che non si può perdere, neanche con la traduzione.
Tutti i dialoghi, anche quelli che appaiono meno possibili per essere detti, acquistano necessità assoluta per il personaggio e non ne puoi cambiare più una parola. Come egli stesso disse a proposito di bere il caffè in un momento piuttosto che l’altro: se accade si sta cambiando la Pièce. Pinter è fedele alla sua idea, coerente, e ci si può affidare pienamente, ma bisogna uscire dalla categorie e razionalità comuni per entrare in quello che gli uomini sono davvero.
“I critici parlano del problema della non comunicazione tra i miei personaggi, come se loro non si comprendessero l’uno con l’altro. Non è proprio così. Io sono interessato in persone che hanno scelto di non comunicare, di non capirsi gli uni con gli altri…”*: connessioni non razionali, dove essi possono decidere di non voler comunicare e per questo stanno già comunicando molto. In questo sta la loro sopravvivenza, l’accettazione di non potersi o volersi capire. Siamo fragili fuori dai mondi che abbiamo costruito e lottiamo per salvarli e salvarci.