Geniale, schietto e anticonformista, William Friedkin è conosciuto per aver girato film cult quali il “Il Braccio Violento della Legge” – cinque Oscar e tre Golden Globe – e “L’esorcista”, la travagliata pellicola del 1973 – due Oscar e quattro Golden Globe – che ancora oggi è considerata uno dei più interessanti capisaldi del genere horror.
Forse pochi però sanno che il regista statunitense, la cui carriera è costellata di grandi trionfi e clamorosi fiaschi, ha realizzato la trasposizione cinematografica de “Il Compleanno”, una delle più rappresentate opere di Harold Pinter che al suo debutto, nel 1958, fu letteralmente stroncata.
Nato nel 1935 a Chicago, Friedkin comincia a lavorare nel mondo dello spettacolo poco più che ventenne.
Autodidatta, folgorato da “Quarto Potere” di Orson Welles e da “La Sagra della Primavera” di Stravinskij, il regista esordisce nel 1962 con un documentario contro la pena di morte.
Nel 1965 viene ingaggiato per dirigere un episodio della serie “The Alfred Hitchcock Hour” e due anni più tardi debutterà con il suo primo film “Good Time” con una giovanissima Cher.
Ma in quegli anni Friedkin è letteralmente ossessionato da “Il Compleanno”. E quell’opera teatrale, a cui aveva assistito per la prima volta a San Francisco nel 1962, doveva diventare un film. “Il primo film che volevo davvero fare”, come spesso ricorda il grande regista oggi ottantaquattrenne.
E così William incontra Harold. Tra loro nasce un rapporto di grande stima e, nel tempo, di grande amicizia. Nel 1967 Friedkin trascorre un anno a Londra per lavorare a fianco di Pinter che scrive la sceneggiatura e si occupa anche del casting.
E poi finalmente si avvera il grande sogno professionale di Friedkin: nel 1968 esce “The Birthday Party” con il grande Robert Shaw nei panni Stanley Webber – personaggio pinteriano per eccellenza – pianista fallito dai turbolenti trascorsi, senza ambizioni e sogni, che vive in una piccola pensione vicina al mare gestita da due abitudinari coniugi che lo accudiscono come un figlio viziato.
Ancora oggi Friedkin ricorda con piacere quel sodalizio artistico con Pinter: “Il tempo che ho trascorso con lui e le tante conversazioni che abbiamo fatto sono state le più preziose e istruttive della mia carriera”.
Ci fu solo un unico scontro con Harold che avvenne quando un altro grande regista, Joseph Losey, chiese a Pinter di fare pressioni su Friedkin perché eliminasse una scena ripresa attraverso uno specchio perché troppo vicina al suo stile. Friedkin rifiutò e successivamente dichiarò: “non avevo intenzione di distruggere la continuità del film solo per placare l’ego di Losey”.