Mountain Language: Pinter e il linguaggio della montagna

Mountain Language: Pinter e il linguaggio della montagna

Aperto sostenitore dei diritti civili, sempre dalla parte degli oppressi e strenue difensore dei diritti umani, nel 1985 Pinter parte per una missione in Turchia con il celebre regista Arthur Miller:
la denuncia dell’oppressione di Ankara nei confronti del popolo curdo gli valse l’espulsione dal Paese e lo spunto per una brevissima piece, “Mountain Language” che, tuttavia, lui stesso dichiarò non riguardare espressamente quel popolo avendo una rilevanza universale.

Pubblicata per la prima volta nel supplemento letterario di “The Times” nel 1988, “Mountain Language” fu messa in scena lo stesso anno al Royal National Theatre, interpreti  Michael Gambon e Miranda Richardson. Un “dramma politico” – come è stato spesso definito insieme ad altre due opere di Pinter, “Il bicchiere della staffa” e “Il nuovo ordine mondiale” – che si focalizza sulla brutalità di una società che non solo pratica la tortura contro gli oppositori ma arriva persino a negare il diritto all’esistenza della loro lingua.

Mountain Language” si svolge in una prigione di un non menzionato Stato totalitario dove le libertà individuali sono state annientate. Una prigione divisa in due sezioni, una dedicata ai reclusi “intellettuali” che vengono dalla città e l’altra destinata agli uomini della zona rurale costretti a non usare il gergo della loro comunità, emblematicamente definita “montanara” perché periferica alla capitale del potere. Un luogo di repressione, dove ufficiali in uniforme abusano di donne che aspettano ore e ore nella neve per vedere i loro parenti rinchiusi e torturati minacciate e morse da cani feroci.

“La tua lingua è morta. Nessuna domanda?” Una frase emblematica, una battuta agghiacciante che un ufficiale rivolge ad una donna anziana…

La violenza contro la parola. Negare il linguaggio per negare la storia, l’identità culturale e, quindi, l’esistenza stessa dell’essere umano.

Nel 2005, nel suo discorso di accettazione del Premio Nobel, così Pinter ebbe a dire: “’Il linguaggio della montagna’ … rimane brutale, breve e sgradevole. Ma nell’opera i soldati trovano il modo di divertirsi. A volte si dimentica che i torturatori si annoiano facilmente. Essi hanno bisogno di farsi una risata per tenere in alto lo spirito… ‘Il linguaggio della montagna’ dura solo 20 minuti, ma potrebbe andare avanti per ore e ore, sempre avanti, lo stesso schema ripetuto sempre di nuovo, ancora e ancora, ora dopo ora”.

Photo cover LaStampa.it

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