Il migliore anno della mia vita

Il migliore anno della mia vita

Un film degli ultimi tempi che ho molto amato è Lion. Basato sul libro di memorie “La lunga strada per tornare a casa”,
la pellicola narra la storia vera di Saroo Brierley un bambino cresciuto in India che, dopo vent’anni e una vita in Australia, cede ai ricordi del passato per andare alla ricerca delle sue origini.

Un viaggio soprattutto mentale che inizia da un jalebi – un tipico dolce indiano – che, come la madeleine di Proust, scatena nel protagonista un tumulto di sensazioni e emozioni.

Che c’entra Pinter, mi chiederete.

C’entra, c’entra… perché guardando il film pensavo a quanto mi sarebbe piaciuto essere in prima fila a gustarmi la Recerche sceneggiata dal grande Harold.

Un sogno. Perché il film, che avrebbe dovuto essere diretto da Joseph Losey, non fu mai realizzato. Non certo per colpa di Pinter. Lui, nella Recerche proustiana, ci si buttò a capofitto.

Erano l’inizio del 1972 e Losey, che aveva già lavorato con il premio Nobel in capolavori come il “Servo” e “l’Incidente”, gli propose di sceneggiare l’opera del grande scrittore francese. Per tre mesi, ogni giorno, Pinter lesse la Recherche e nell’estate dello stesso anno si recò numerose volte in Francia: a Illiers, a Cabourg, a Parigi, per vivere i luoghi proustiani. Prese centinaia di appunti per ritrovarsi, alla fine, “molto perplesso sul come affrontare un compito così enorme”, come lui stesso ebbe a dire.

Peraltro, erano tutti molto scettici: come era possibile condensare la Recherche in un film? Come avrebbe fatto Pinter, il maestro del non detto, a rendere quella infinita quantità di storie, descrizioni, riflessioni che è la Recherche?

Fatto sta che alla fine del 1972 la sceneggiatura – “una semplice visione cinematografica” come lo stesso Pinter la definì – è pronta.

Nella breve introduzione si legge: “noi abbiamo deciso che l’architettura del film sia basata su due princìpi principali opposti, l’uno di movimento sostanzialmente narrativo, verso la disillusione, e un altro, più intermittente, verso un momento in cui il tema che era stato perduto viene ritrovato e fissato per sempre nell’arte”.

Sarebbe stato interessante poter vedere gli sviluppi di questa idea in immagini.

Purtroppo nessun produttore finanziò il film.

Ci rimangono quelle bellissime 166 pagine (pubblicate in Italia con il titolo Proust. Una sceneggiatura) in cui Pinter riuscì a condensare l’immane capolavoro di Proust. E il suo ricordo di quel periodo: L’anno in cui ho lavorato alla Recherche è stato il miglior anno di lavoro della mia vita”.

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